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CONCORRENZA SLEALE
 

Gli spazi di competizione sempre più stretti in mercati costantemente sempre più raggiungibili da molti competitors nel contesto globalizzato, creano occasioni e motivazioni di azioni di concorrenza non conforme alle disposizioni normative italiane ed internazionali .

Le azioni che si possono concretizzare in vari modi, per esempio attraverso la contraffazione, oppure mediante l'abuso di posizione dominate, la pubblicità ingannevole o comparativa illecita o semplicemente attraverso la violazione di esplicite limitazioni di legge o di clausole di patti precedenti che regolamentano e disciplinano la competizione tra imprese


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LE TIPOLOGIE DI INTERVENTO

 

INVESTIGAZIONI PER CONCORRENZA SLEALE

I contesti di sleale competizione tra imprese ove i nostri investigatori privati sono specializzati da anni di bagaglio professionale, operativo e normativo, sono molteplici.
Si parte dal classico caso di violazione delle norme previste dagli enti che regolamentano il mercato come ad esempio l'abuso di posizione dominante (antitrust) piuttosto che mezzi pubblicitari ingannevoli o comunque atti a creare confusione nell'utenza potenziale.

 

VIOLAZIONE DI PATTI DI NON CONCORRENZA

Si tratta di uno scenario operativo ben conosciuto e affrontato in decine e decine di casi. Infatti, in particolari contesti, soprattutto in caso di cessione di un'attività o di un ramo di impresa, viengono stipulati tra due o più soggetti imprenditoriali dei patti che disciplinano le successive attività di concorrenza. 

I nostri investigatori privati sono specializzati in questa tipologia di indagine. 

CONTRAFFAZIONE E PUBBLCITA' INGANNEVOLE

Uno dei rischi di sleale competizione è rappresentanto da pubblicità e comunicazione ingannevole sia nelle sue forme tradizionali sia, ad esempio, sul web. Una cattiva comunicazione a danno dell'impresa concorrente, magari anche attraverso recensioni negative su portali specializzati, o la diffusione di dati alterati e tendenziosi possono recare enormi danni all'azienda. Ovviamente anche la contraffazione dei prodotti per creare "confusione dei segni distintivi dell'impresa", servizio che affrontiamo in modo più diffuso nella tutela dei marchi e dei brevetti

COSTI E TEMPI DELLE INVESTIGAZIONI CONTRO LA CONCORRENZA SLEALE

Gli interventi per le investigazioni contro la concorrenza sleale  oscillano normnalmente tra i 4 ei 6 giorni lavorativi con un impegno di spesa variabile tra i 2.000 e i 4.000 euro 

 

COME OPERIAMO NELLE INVESTIGAZIONI PER CONCORRENZA SLEALE

Le investigazioni sulla concorrenza sleale richiedono un alo grado di specializzazione e un attenta pianificazione, attraverso l'esame preventivo non solo del piano operativo, ma della definizione dei target di indagine e dei contesti normativi aggiornati in cui sono inseriti. 

La task force di investigatori privati di Sigent viene coordinata dall'investigatore privato titolare di licenza al fine di raggiungere gli obiettivi probatori con il giusto dosaggio dei tempi e dei costi di intervento. 

Al termine dell'investigazione viene rilasciato un completo rapporto investigativo corredato di elementi probatori integrati od allegati, quali foto, video o prove documentali

COME AFFIDARCI UN INCARICO INVESTIGATIVO CONTRO LA CONCORRENZA SLEALE

E' possibile contattare Sigent numeri mobili 24h  375/5400661 o 335/133223, ovvero formulando una richiesta di preventivo all'indirizzo email info@sigentsicurezza.it .

Verrà effettuata una prima analisi di costi e sostenibilità operativa e fornita una prima consulenza. Per affidare l'incarico è necessaria la sottoscrizione del mandato investigativo.

OPERATIVI IN TUTTA ITALIA H24

Sigent è in grado nell'arco di una giornata di attivare incaricihi investigativi su tutto il territorio italiano.

Operiamo anche all'estero.

richiedi il preventivo per le investigazioni sulla concorrenza sleale

SIGENT è un’agenzia investigativa specializzata nei servizi investigativi contro la concorrenza sleale, dalle investigazioni sulla concorrenza sleale e la violazione dei patti di non concorrenza,, alle investigazioni per la tutela dei marchi e dei brevetti industriali, al controspionaggio e le bonifiche elettroniche,  alla tutela del diritto d’autore, alla due diligence investigativa, alle indagini sui concorrenti aziendali; gli investigatori privati di SIGEWNT operano nelle investigazioni aziendali contro la concorrenza sleale coordinati dall’investigatore privato titolare a costi già indicativamente riportati nel sito, e fornendo comunque preventivo e consulenza gratuiti nelle modalità indiocate

DAL NOSTRO BLOG

INVESTIGAZIONI SULLA CONTRAFFAZIONE

Ambiti applicativi, giuridici e scenari economici

 

 

SCENARIO ECONOMICO

Non occorre eseguire studi approfonditi per imbattersi quasi quotidianamente in fenomeni di concorrenza sleale poggiati sull’atto della contraffazione, di merci, prodotti, immagini o marchi.

Il fenomeno contraffativo interessa ormai trasversalmente diversi comparti economici e settori industriali, falla filiera agroalimentare a quella farmacologica, dal tessile e dall’abbigliamento fino alla manifattura industriale .

Innanzitutto occorre precisare cosa si intende per contraffazione e definire quindi i confini del tema di interesse.

Per contraffazione comunemente intendiamo ciò che viola  i diritti della proprietà industriale, sia sancita da disegni o brevetti, da marchi registrati, da indicazioni geografiche (DOC, DOP, IGT…),  anche se poi materialmente si può allargare il concetto a tutto ciò che nel porre in atto l’imitazione del prodotto comporta un danno a terzi (ovvero i consumatori, spesso, quando si tratta di generi di largo consumo), o ancora meglio un’induzione ingannevole all’acquisto e al consumo.

Come osservato dalle dinamiche attuali tuttavia, sovente, il “terzo” ovvero il consumatore, non viene affatto ingannato dal prodotto contraffatto anzi ne riconosce il valore proprio in funzione della sua contraffazione.

Tale paradosso è conosciuto da molti anni nell’ambito della moda e del lusso, si pensi agli orologi piuttosto che ad occhialeria ed accessori di abbigliamento ma, in virtù dell’evoluzione tecnologica, che in questo caso assume un ruolo negativo, il fenomeno si è allargato anche ad altri settori, tra cui il caso più noto, è rappresentato da quello alimentare.

A  fornire una decisiva accellerazione a questo processo contribuisce in modo non certo trascurabile la contemporanea trasformazione dei meccanismi di distribuzione e commercializzazione dei prodotti contraffatti.

Un tempo non poi così lontano, l’esclusiva di questo mercato era ad appannaggio di forme ambulanti o clandestine di commercio, oggi invece è il web a creare i facili presupposti della libera circolazione dei prodotti “pirata” con forme di violazione che partono dalla proprietà industriale sino ad arivare al diritto d’autore.

La vastità del fenomeno e la sua intrinseca appetibilità economica lo rendono interessante a strutture criminali di tipo organizzato e sovente transnazionali

Il conseguente danno che ne deriva al sistema economico e produttivo ha assunto proporzioni ampie ed articolate, misurate, ad esempio, in uno studio del UIBM, Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, organismo in seno al MISE

 

 

Nel report 2018 si è misurato il valore economico della contraffazione nel suo valore assoluto stimato in 7.208 milioni di euro con un incremento di circa il 3,5% rispetto ai valori del 2015.

Il settore più colpito è quello dell’abbigliamento-tessile-calzature con un “fatturato” di 2.386 milioni di euro, seguito da materiale audio/video con 1.990 e a chiudere il podio, il settore agroalimentare con 1.046 milioni di euro; trovano spazio con valori significativi, espressi sempre in milioni di euro, altri comparti come apparecchi e materiali elettrici (oltre 800 milioni), orologi e gioielli (quasi 400 milioni),  e medicinali, giochi e giocattoli, materiale informatico…

E’ stato misurato un impatto sulla produzione di ca. 20.000 milioni di euro, sul valore aggiunto di ca. 7.000 milioni di euro ed un impatto occupazionale negativo per  oltre 100.000 posti di lavoro.

 

 

 

 

AMBITO GIURIDICO

La pluralità di illeciti che vengono messi in atto dalle condotte contraffattive afferiscono espressamene violazioni di legge, soprattutto in ambito di concorrenza sleale, e, in particolare,  la disciplina in materia di concorrenza sleale di cui al combinato disposto degli articoli 2598, 2599, 2600 e dall’art. 2601 del codice civile.

“La concorrenza sleale si sviluppa nell’ambito dei rapporti tra imprenditori che operano sullo stesso mercato offrendo beni o servizi similari[2] al verificarsi delle condizioni descritte dall’art. 2598 c.c.[3] che, facendo salve le previsioni in materia di tutela dei segni distintivi e di brevetto, dispone che costituisce atto di concorrenza sleale l’utilizzo dei nomi o segni distintivi utilizzati legittimamente dal concorrente, l’imitazione dei prodotti ovvero  l’attuazione di qualsiasi altro atto che sia idoneo a creare confusione o ad imitare i prodotti del concorrente.” (CIT. ALTALEX)

L’atto sleale quindi si configura a prescindere dalla natura di volontarietà da parte dell’agente; l’azienda viene danneggiata sia in caso di concorrenza sleale posta in essere in modo colposo sia nella fattispece di azione dolosa.

La differenza diviene assai rilevante allorché, l’accertamento della natura dolosa dell’atto contraffativo, impatta direttamente sulla legittimità dei una richiesta per risarcimento dei danni, disciplinata dall’art. 2600 c.c.

Ovvio che il completo inquadramento delle fattispecie di concorrenza sleale nelle loro molteplici, quasi infinite, possibili articolazioni fattuali è demandato alla giurisprudenza che ne ha definite progressivamente nel tempo varie tipologie, sedimentando le sentenze ed evolvendo parallelamente alle mutazioni del contesto competitivo; si pensi alla comunicazione pubblicitaria ingannevole, al dumping fiscale e infine la cosiddetta “concorrenza paassitaria”.

“Nel panorama italiano la normativa di riferimento è costituita dal Codice della Proprietà Industriale (CPI) di cui al D.lgs. 30 del 10.02.2005, il quale ha introdotto nel nostro ordinamento una regolamentazione organica e strutturata in materia, successivamente modificato dal D.Lgs n. 131/2010 e dalla legge n. 99/2009 che interviene su alcune disposizioni del codice penale riguardanti il reato di contraffazione; il Codice Civile e il Codice Penale riportano una serie di disposizioni che integrano e affiancano il CPI.” (CIT. ALTALEX)

Nel nostro Paese, al fine di contrastare le finalità criminali della contraffazione internazionale, esiste poi una disciplina specifica finalizzata, anche e soprattutto a favore dei consumatori, per la tutela del MADE IN ITALY.

Si tratta di un insieme piuttosto organico benché complesso di nome e normative che interessano in particolare i settori più dinamici del nostro export quali agroalimentare, abbigliamento e macchine industriali, portatori di intrinseco valore aggiunto e successo che li rendono target prediletto per gli agenti contraffattivi.

Come noto, soprattutto riguardo a certe filiere, queste normative mirano soprattutto ad identificare in modo confutabile l’area di provenienza geografica del prodotto ma anche il processo di produzione che sovente ne costituisce il valore aggiunto.

 

 

 

 

Ma soprattutto, come si può reperire con esaustività sul portale del MISE – Ministero Italiano per lo Sviluppo Economico, si può fare riferimento al  Codice della proprietà industriale (CPI), emanato con Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, che ha introdotto nel sistema italiano una disciplina organica e strutturata in materia di tutela, difesa e valorizzazione dei diritti di proprietà intellettuale, riordinando e accorpando oltre 40 testi normativi tra leggi e provvedimenti, conseguenti in particolare all'adeguamento delle norme italiane ai regolamenti comunitari e alle disposizioni delle convenzioni internazionali a cui l’Italia ha aderito.

Oltre alle normative italiane occorre anche fare riferimento in materia di contraffazione, concorrenza sleale e tutela della proprietà industriale anche, talora soprattutto, alle normative internazionali.

In ambito comunitario la UE ha messo in atto uno sforzo normativo teso ad armonizzare le normative esistenti nei vari Paesi:

1)      il Regolamento (UE) 608/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale da parte delle autorità doganali; una regolamentazione che colma le carenze della precedente normativa ampliando la lista dei diritti di proprietà intellettuale da tutelare che erano stati esclusi dal precedente regolamento;

2)      la Direttiva 2004/48 CE[6] del Parlamento europeo e del Consiglio sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale; la direttiva indica le misure e le procedure civili ed amministrative finalizzate a stabilire le condizioni per l’applicazione uniforme delle norme in tutto il territorio dell’Unione Europea e a garantire il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale.

Come riportato in un completo articolo apparso su ALTALEX , inoltre, in merito alla tutela del marchio, occorre citare:

1)      il Regolamento (UE) 2015/2424[7] del Parlamento europeo e del Consiglio, entrato in vigore il 23 marzo 2016, che modifica il Regolamento sul marchio comunitario; il provvedimento si inserisce nel quadro del pacchetto normativo dell’Unione Europea per la riforma del marchio;

2)      il Regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio sul marchio comunitario che stabilisce norme e condizioni valide in tutta l’Unione per la concessione di un Marchio dell’Unione Europea, come modificato dal Regolamento (UE) 2015/2424 sopra citato.

 

INVESTIGAZIONI AZIENDALI CONTRO LA CONTRAFFAZIONE

 

Le investigazioni aziendali, poste in essere da strutture specializzate e non improvvisate. Costituiscono uno degli asset fondamentali per il contrasto al fenomeno contraffativo.

SIGENT si colloca in questo mercato con il consueto approccio professionale ed umile, non ergendosi a depositaria di assolute verità, peraltro inesistenti, anche in relazione alla molteplicità degli scenari investigativi possibili che non consentono ovviamente di poter addurre un’univoca ricetta operativa per fronteggiare le molteplici tipologie interessate dal fenomeno della contraffazione, dal più comune quello dei marchi al più complesso, quello dei brevetti, per giungere anche alla tutela del diritto di autore, di non minore peso specifico.

Come sempre, ne facciamo una “questione di metodo” e soprattutto cerchiamo sempre di ottimizzare l’azione investigativa al fine di perseguire i target investigativi definiti dal committente al fine di produrre il materiale probatorio utile e di privilegiare l’ottenimento concreto del risultato atteso.

Mai come nel caso delle investigazioni aziendali contro la contraffazione, ed in genere nelle investigazioni aziendali contro la concorrenza sleale, è necessario, quasi vitale, eseguire uno studio preliminare, un briefing per comprendere lo scenario investigativo e l’ambito operativo.

Uno degli aspetti decisivi è senza dubbio quello di inquadrare il grado di tutela del marchio o del prodotto, ovvero se l’azienda si è mossa sul mercato utilizzando gli strumenti presenti per facilitare la riconoscibilità e l’univocità dei propri prodotti e segni distintivi.

In caso contrario, va detto che esiste comunque il “marchio di fatto” , infatti  si può affermare che chi ottiene la registrazione di un marchio gode di una presunzione assoluta di titolarità del diritto e di una protezione estesa a tutto il territorio nazionale. Il titolare di un marchio di fatto invece gode di tutela solo provando il preuso ed unicamente entro l’ambito territoriale nel quale il marchio è stato usato.

Quindi in ogni caso il comportamento contraffattivo può essere identificato e reso perseguibile civilmente e talora penalmente e l’azienda può legittimamente tutelarsi.

In ogni modo per il nucleo investigativo SIGENT è importane eseguire un’analisi preventiva, insieme alla committente, al fine di delineare le forme ed il grado di tutela esistente, l’ambito, anche geografico, di pertinenza ed applicazione e i meccanismi distributivi, produttivi e commerciali.

Ovviamente, nessuno più dell’azienda stessa conosce gli ingranaggi del sistema produttivo e distributivo che attiene alla propria produzione e spesso già in sede di conferimento di incarico investigativo vengono delineate alcune ipotesi afferenti la dispersione di know how e la presenza sul mercato di prodotti contraffatti.

Il briefing preliminare è importante anche per comprendere se l’azione investigativa debba essere articolata partendo da una “sorgente interna” oppure persguendo “fattori esterni”, o ancora entrambe le fattispecie.

Il prodotto contraffatto non è sempre esclusivamente frutto di un’opera esterna; l’imitazione del prodotto industriale e delle sue componenti talora è frutto combinato dell’azione illecita del competitor sleale e di infedeltà interna.

 

Si pensi ad esempio ai processi industriali che a volte costituiscono essi stessi il valore aggiunto non tanto il prodotto finale medesimo; a tal riguardo sappiamo ed abbiamo visto nei capitoli precedenti come alcune forme di tutela afferiscano proprio la filiera ed i meccanismi di produzione come elemento contraddistintivo che sancisce la qualità e l’unicità della produzione.

Pertanto alcune tecniche investigative messe in atto in modo collaudato dalla nostra agenzia investigativa si rivelano estremamente efficaci:

-          INFILTRAZIONE Laddove si pensi a fughe di notizie, progetti, dati aziendali sensibili, oppure si configuri l’ipotesi di atti illeciti nei processi logistici, nei passaggi con i fornitori, è indubbiamente produttivo utilizzare investigatori che si inseriscano nella struttura aziendale

-          MISTERY SHOPPING Con i dovuti accorgimenti giuridici, ove invece la sorgente della contraffazione sia esterna, può essere determinante inserirsi nel mercato della domanda della produzione contraffatta al fine di riaccogliere elementi che possano portare anche a risalire alla sorgente distributiva dei lotti

Quando si parla di “prodotto contraffatto” l’investigatore privato deve anche avere la sufficiente preparazione per poter riconoscere il prodotto e i segni della contraffazione, nel marchio, nei componenti , nei materiali ecc. ecc.

E quando si parla di “accorgimenti giuridici” si tocca un aspetto sensibile in quanto si deve sempre ricordare che un’agenzia investigativa non è un organo di polizia ed è soggetta a limiti di legge che ne disciplinano l’azione e la valenza probatoria degli elementi documentali, testimoniali e, appunto, materiali delle prove acquisite.

Occorre quindi sempre un aggiornamento tempestivo sugli scenari della giurisprudenza per guidare in modo corretto ed efficace l’azione investigativa al fine di non vanificare, con legittimi cavilli giuridici, i risultati concreti acquisiti dall’azione investigativa.

Ad esempio porsi in contatto con gli ambienti criminali che presiedono la distribuzione dei prodotti contraffatti potrebbe addirittura configurare il reato di ricettazione, laddove in modo sprovveduto non si adottino alcuni accorgimenti sia tecnici che operativi.

Come visto nel capitolo dedicato all’ambito giuridico poi , non è irrilevante l’aspetto probatorio che possa portare all’attribuzione del dolo e non della mera colpa.

Non è irrilevante sotto il profilo giuridico ma soprattutto sotto l’aspetto economico in quanto la normativa vigente gli attribuisce un valore discriminane per poter conseguire legalmente un risarcimento dei danni.

Quindi l’agenzia investigativa deve non accontentarsi di stroncare la filiera distributiva, magari cooperando e sollecitando il tempestivo intervento delle forze dell’ordine preposte, in primis GDF e autorità doganali, ma cercare dove possibile di risalire alla sorgente del meccanismo contrafattivo al fine di produrre elementi di prova che certifichino la natura dolosa dell’operazione.

Investigazioni sulla concorrenza sleale

Sovente, soprattutto nel comparto investigativo, si parla di concorrenza sleale, ma altrettanto spesso non si approfondisce il profilo dell’argomento e quindi ne discende una trattazione  talora estremamente sintetica, con la citazione di alcuni articoli del codice civile, ma non si entra nello specifico delle articolazioni possibili in cui solitamente si manifesta il fenomeno, lasciando interrogativi irrisolti che possono anche scoraggiare la richiesta all’istituto investigativo di uno specifico incarico.,

COSA E’ LA CONCORRENZA SLEALE

La concorrenza sleale si concretizza in una serie di comportamenti disonesti ed azioni scorrette che il Legislatore ha raggruppato, definendole in una classificazione normativa tipicizzata ed illustrata nel codice civile e in altre leggi speciali. In un contesto di mercato libero ciò che contraddistingue l’imprenditore e ne formula la propria corporate identity sono i suoi tratti distintivi, definiti da un marchio (per realtà produttive) ma anche da un’insegna o dalla tipicità del prodotto o ancora dallo stesso sistema di produzione.  In un contesto corretto di competizione tra imprese esiste infatti un meccanismo premiativo, ove i prodotti (o i servizi) migliori vengono premiati, appunto, attraverso l’acquisto o il consumo da parte dei clienti, per generi di larga diffusione, i consumatori. L’atto di confusione sui tratti distintivi genera una distorsione della linearità di questo libero mercato, alterandone i presupposti competitivi, e determinando non solo un danno all’impresa che subisce la slealtà dei concorrenti ma anche agli stessi consumatori finali che vengono sostanzialmente ingannati o comunque fuorviati da pratiche concorrenziali scorrette. Nel tempo si è sviluppata, accanto all’idea del libero mercato, anche quella della necessità di creare pacchetti normativi che regolamentassero la leale competizione tra imprese, evitando che tale competizione divenisse selvaggia.

QUALI SONO I PRESUPPOSTI AFFINCHE’ SI POSSA PARLARE DI CONCORRENZA SLEALE

Innanzitutto la concorrenza sleale è, in linea di principio, una questione che afferisce le imprese, le aziende, benché in certuni casi, secondo recenti sentenze della cassazione, si estenda anche ai professionisti la disciplina, in virtù della presenza di alcuni elementi particolari. Pertanto uno dei  presupposti principali è il presupposto di imprenditorialità per poter parlare effettivamente di concorrenza sleale. Quindi sia chi subisce gli atti sleali sia chi li determina debbono essere imprese. Ciò nonostante si può estendere il concetto non solo all’imprenditore vero e proprio ma anche ai suoi dipendenti, collaboratori o dirigenti d’impresa. Infatti non è necessario che venga provato l’ordine diretto dell’imprenditore ai propri subordinati ma che l’azione degli stessi sia finalizzata a perseguire il suo interesse. Inoltre la disciplina della concorrenza sleale è certamente estendibile anche ad imprese che siano in stato di liquidazione oppure, addirittura, che siano oggetto di procedura concorsuale, laddove non vi sia stata la dissoluzione del nucleo aziendale e/o vigano le disposizioni normative relative all’esercizio provvisorio. Altri presupposti sono quello della competizione merceologica, ossia le imprese debbono essere i competizione per lo stesso genere di prodotti e servizi. A tale riguardo si precisa che l’angolazione di osservazione del criterio merceologico si debba spostare soprattutto dal lato del bisogno del prospect, ovvero del mercato potenziale, principio per il quale, a titolo esemplificativo, un produttore di patatine può ritenersi in competizione con un produttore di popcorn, mentre non vi è lo stesso scenario laddove, sempre esemplificativamente, un’azienda produca abiti da lavoro e l’altra abiti da cerimonia. Infine non si può certo trascurare il criterio georeferenziale o se si preferisce territoriale, ovvero il luogo in cui si gioca la partita tra i concorrenti, dove si incontra l’offerta con la domanda. Sempre più spesso questo ambito di competizione è perlomeno nazionale in virtù della capillarità dei mezzi pubblicitari sui canali tradizionali ma anche su quelli telematici del web o dei social. In alcuni casi l’ambito può essere più ristretto, si pensi al comparto del commercio al dettaglio o degli esercizi commerciali afferenti alla ristorazione o alla ricettività.

La breve carrellata introduttiva si è resa necessaria per sintetizzare alcuni principi generali poi sedimentati dalla relativa giurisprudenza, e che servono a chiarire anche gli ambiti di applicazione prettamente investigativi, ovvero le modalità in cui una società di investigazioni può essere utile ad un’impresa, sgomberando il campo da alcune confusioni alberganti nella clientela delle agenzie investigative, che talora parla, ad esempio, di concorrenza sleale, anche quando si tratta di contenziosi tra privati e imprese o ancora tra azienda e dipendente. Ora entriamo nel merito delle fattispecie vere e proprie di concorrenza sleale.

FORME CONFUSORIE DI CONCORRENZA SLEALE

1)Si tratta di uno dei principi basici del codice civile che tutela le imprese proprio ponendo l’accento normativo sulla confusione dei segni distintivi. Tale confusione si può tipicizzare in alcune ricorrenze diffuse:      Utilizzo di nomi o segni distintivi di un altro imprenditore, generando confusione nel pubblico

2)      Imitazione servile dei prodotti di un’altra impresa

3)      Attuazione con qualsiasi altro mezzo di atti che generino confusione con i prodotti e l’attività di un concorrente

Tali fattispecie confusorie sono sancite dall’Art. 2598, n. 1, c.c.

In merito ai nomi e ai segni distintivi confusori, chiaramente si tratta della fenomenologia più diffusa e conosciuta sul mercato. Si pensi alla cronaca, a danno purtroppo del nostro “made in italy” relativamente al caso Parmigiano/Parmesano. Ciò che identifica un’impresa e/o il suo prodotto, il segno distintivo, può essere infatti il nome del prodotto, le caratteristiche grafiche del marchio, il packaging, pertanto si può parlare di confusione grafica ma anche di confusione fonetica o semantica. La concorrenza confusoria non è solamente tutelata e normata dal codice civile ma da altri cluster normativi, come, ad esempio, quelli afferenti la tutela del made in  Italy, sigle come DOP, DOC o IGT che sanciscono con diverse gradazioni l’unicità del prodotto. Vi è poi la normativa e gli strumenti per difendere i marchi, attraverso la registrazione degli stessi sia a livello nazionale che europeo ed internazionale, la disciplina per tutelare i brevetti industriali e così via. Più problematica, a nostro avviso, è invero la disciplina relativa all’imitazione servile nonché la relativa giurisprudenza. Sappiamo che per imitazione servile si intende la pedissequa imitazione del prodotto del concorrente. Sappiamo però anche che tale imitazione per essere certamente perseguibile, deve essere relativa alla forma esterna del prodotto stesso piuttosto che alle sue parti interne.

Le investigazioni aziendali contro le forme di “confusione” o altrimenti definibile “contraffazione” sono già state da Sigent oggetto di dettagliato sviluppo tematico. Per riepilogare brevemente le indagini contro la contraffazione sono inerenti a prodotti o servizi contraffatti, che riproducono i prodotti di marche famose o comunque ben identificabili, generando un inganno al consumatore. Ma oltre alla vera e propria contraffazione che attiene soprattutto al fenomeno suddescritto, vi sono pratiche imitative che non attuano una contraffazione vera e propria ma generano appunto confusione. Ad esempio l’imitazione di un marchio, di un nome di prodotto o di ragione sociale.

Passiamo ad alcuni esempi concreti di fatti di concorrenza sleale secondo i criteri confusori.

Un’impresa di occhialeria che produce occhiali a marchio “Persol” ovviamente si pone in diretta concorrenza con il noto gruppo Luxottica, parimenti si configura fattispecie confusoria, laddove un’azienda di confezioni veicoli sul mercato capi a marchio ”Emporio Ermani”, troppo simile al marchio stranoto “Emporio Armani”.

Ma l’atto di confusione può afferire non solo al nome ma, come detto, anche ad elementi grafici o fonetici o allo stesso slogan pubblicitario; sappiamo che molti slogan sono ormai associabili in modo inscindibile all’impresa reclamizzata, concorrendo in modo pervadente a costituirne il segno distintivo, la corporate identity.

Se l’ipotetica Torrefazione Rossi lanciasse spot pubblicitari con lo slogan “Più lo mandi giù, più ti tira su” sarebbe fin troppo semplice ipotizzare un tentativo di generare confusione tra i consumatori con il più affermato marchio Lavazza.

Anche un’insegna commerciale può essere lo strumento di una ipotesi di concorrenza sleale confusoria, un negozio di mobili da soggiorno non potrà facilmente pensare di passare inosservato laddove adotti l’insegna “Poltrone Sofà”.

Secondo lo stesso principio anche il web diviene terreno fertile per tentativi di slealtà concorrenziale , per prima cosa attraverso i domini, è infatti oramai  giurisprudenzialmente consolidato che anche il dominio web rientri appieno nella fattispecie di segno distintivo dell’impresa. Sempre più spesso vi sono sentenze a danno di imprese, ad esempio, che coniano domini contenenti il marchio di un più famoso concorrente.

 

DIFFAMAZIONE, DENIGRAZIONE

Lo stesso art. 2598 al comma 2 tratta appunto il tema così:” diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito“.

Le investigazioni aziendali contro questo tipo di concorrenza sleale presentano talora delle criticità di natura operativa poiché meno tipizzate rispetto alla concorrenza sleale attuata con forme confusorie, anche perché le forme concrete in cui si manifesta potenzialmente questo tipo di comportamento sleale sono invero molteplici. Ci teniamo però innanzitutto a circoscrivere il perimetro di applicabilità di questo indirizzo normativo, evitando di sconfinare dall’ambito della concorrenza sleale propriamente detta. Per questo tipo di atto concorrenziale occorrono alcuni meccanismi presuppositivi che innescano la circostanza fattuale prevista dalla legge, come, ad esempio, il fatto che la denigrazione o la diffamazione debba essere pertinente a notizie o dati che siano “falsi”. Quindi si parla della diffusione di dati o giudizi sull’attività dell’impresa, sui suoi prodotti o sulla stessa persona dell’imprenditore (limitatamente a quanto attinente alla sua funzione imprenditoriale) che comportano o possano potenzialmente comportare perdita di prestigio o calo di fiducia da parte di consumatori, clienti, fornitori o degli stessi dipendenti dell’impresa.
Le nostre investigazioni aziendali contro questa tipologia di concorrenza sleale mirano innanzitutto ad un principio metodologico al fine di produrre elementi probatori realmente utili in ambito processuale, partendo ovviamente dalla loro validità giudiziale, come scontato, e parallelamente che abbiano un’angolazione asettica ovvero siano per quanto possibili oggettivi. Quando si parla di denigrazione o diffamazione, della diffusione di notizie o dati tendenziosi o addirittura diffamatori, non sempre è possibile predisporre mediante anche impeccabili (sotto il profilo metodologico) azioni investigative una serie di prove inattaccabili o potenzialmente discutibili, pertanto preferiamo concentrarci sulla qualità dell’elemento probatorio piuttosto che sulla quantità. Si può considerare attinente a questo ambito di circostanze concorrenziali scorrette anche la cosiddetta “pubblicità comparativa”, la quale, sulla base di principi chiari, è consentita a meno che la comparazione tra i propri prodotti/servizi e quelli del concorrente non sfoci poi nella conseguente azione denigratoria. Più sfumati sono i contorni della comunicazione pubblicitaria superlativa in cui in effetti viene propagato il concetto di magnificazione della propria offerta, presupponendo un’eccellenza della medesima. I famosi “iper” o “super” o “migliori sul mercato”, formule di non certo ridotta diffusione sulle quali tuttavia vi sono diffusamente interpretazioni più liberali nella disciplina concorrenziale. La concorrenza sleale attraverso queste pratiche pubblicitarie distorsive della leale competizione,  è facilmente riscontrabile, anche a livello investigativo, quando avviene su media quali reti televisive, stazioni radiofoniche oppure sui canali più noti del web. Diviene più complicata laddove si utilizzino strumenti diversi quali le cosiddette vele stradali itineranti, camion pubblicitari, pubblicità aerea, pubblicità sui social, pubblicità sul web al di fuori dei canali principali e elle loro forme più note.

Quando parliamo di pubblicità comparativa, si affronta un contesto anche complesso per cui vanno chiariti alcuni elementi esemplificativi al fine di rendere possibile le circostanze in cui si prefigura la pratica concorrenziale sleale.

Per iniziare la pubblicità comparativa “non deve essere ingannevole”, lo è quando per ipotesi mette a confronto i prezzi di 3 diversi esercizi concorrenti (es. supermercati) senza specificare con chiarezza i prodotti presi in considerazione.  Il confronto deve essere su beni o servizi omogenei che soddisfino gli stessi bisogni e si pongano gli stessi obiettivi, per cui ne discende che laddove si operasse una comunicazione pubblicitaria comparativa tra una crema cosmetica e una pomata medicinale, si rientra nella fattispecie di concorrenza sleale attraverso scorretta pubblicità comparativa, in quanto la pomata ha finalità curative ed invero la crema è un prodotto meramente cosmetico.

Nel caso di un’impresa meno nota e di una affermata sul mercato, è scorretto comparare il proprio prodotto con quello del famoso concorrente, non evidenziando le peculiarità del proprio prodotto ma gli aspetti che lo rendono simile o affine all’altro;  l’ipotetico produttore dell’altrettanto ipotetica Colafrizz non può pubblicizzare il suo prodotto con lo slogan “frizzante e buona come la Coca Cola”.

APPROPRIAZIONE DI PREGI

La normativa corrente non sanziona solamente le pratiche denigratorie ma anche quelle relative all’appropriazione di pregi di un’impresa concorrente  Per appropriazione si intende la semplice comunicazione al pubblico che la propria impresa o i propri prodotti presentano gli stessi pregi dell’impresa o dei prodotti di un concorrente, dove “pregio” è qualsiasi caratteristica,anche non rara, che il mercato valuti positivamente e che sia pertanto capace di influire sulle scelte del pubblico. Chiaramente tale autoattribuzione deve avere un presupposto di falsità, ovvero l’impresa si deve attribuire pregi che in realtà non possiede.

Il caso più tipico che riscontriamo anche nelle investigazioni aziendali contro la concorrenza sleale è quello dell’usurpazione dei marchi di origine o tutela. Si pensi al made in italy, ma anche al marchio CEE, oppure all’uso improprio delle varie sigle quali DOGC o DOP. Si pensi ad una panetteria che spaccia come Pane di Altamura DOP normali filoni di pane o la gelateria che millanta l’uso del Pistacchio di Bronte o del Cioccolato di Modica per realizzare i propri prodotti senza che tali componenti siano realmente presenti.

Nella stessa branchia tipologica di concorrenza sleale, esiste anche il cosiddetto “agganciamento”, dove il concorrente sleale attua pratiche commercialmente scorrette apponendo accanto al proprio marchio quello del player più noto. E’ il caso del “formaggio tipo Grana”, del “prosciutto tipo San Daniele” o della “visura camerale tipo Cerved”. L’imprenditore scorretto e sleale, “aggancia” i beni o servizi da lui prodotti o commerciati a quelli più famosi e diffusi del concorrente per “mettersi in scia”, approfittando così in modo parassitario del lavoro e dell’investimento compiuto dall’altro per ottenere l’accreditamento sul mercato.

 

 

 

 

ANTITRUST

Fino ad ora si sono esaminate circostanze di concorrenza sleale in cui l’investigatore privato è chiamato ad intervenire per reperire elementi di prova al fine di dimostrare un atto di concorrenza confusoria, comunicativa o denigrativa di un’impresa verso un’altra impresa.

Tale parte della concorrenza sleale pur essendo casisticamente significativa non esaurisce lo spettro delle investigazioni aziendali sulla concorrenza sleale.

Ad esempio esiste la circostanza in cui due o più imprese assumano tra di loro accordi al fine di formare un “cartello” o se si preferisce il termine anglosassone un “trust” per escludere dalla  regolare competizione di mercato, o per limitarne fortemente l’accesso, alle altre imprese. Le azioni di trust sono monitorate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, più comunemente nota come Antitrust. Ovviamente non sempre è semplice dimostrare l’esistenza occulta di un cartello di imprese e quindi invocare l’intervento del garante o di altri strumenti legali. Si può attuare un trust attraverso accordi finalizzati a restringere l’ambito concorrenziale magari segmentando un territorio e suddividendolo per aree di “esclusiva”, spartendosi appunto diverse zone rinunciando a farsi concorrenza e magari indirizzando potenziali clienti a beneficio del membro del cartello che ha come da accordi pertinenza su quella zona.
Ma la concorrenza può essere ristretta anche con altri criteri rispetto a quelli della spartizione del territorio, magari adottando listini comuni oppure fissando prezzi minimi comuni al fine di distorcere il regolare flusso del mercato. Parimenti le imprese del cartello possono agire sul lato dei fornitori o ancora sui canali distributivi o di approvvigionamento logistico.

ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE

Non è certo illegale che un’azienda detenga una quota di mercato maggioritaria o comunque rilevante in un settore merceologico, ciò che diviene illegale è l’abuso di questa posizione, che si materializza con meccanismi distorsivi del mercato stesso. Quando un’azienda “domina” un mercato può trarre abuso da questa posizione allorché imponga condizioni di vendita o contrattuali ingiustificatamente gravose, quando si muova per impedire l’accesso a quel mercato ad altri imprenditori pregiudicandone ad esempio le possibilità di sviluppo tecnologico a danno dei consumatori o infine, evento non certo raro, quando imponga, forte della sua posizione, condizioni supplementari al fine del perfezionamento del contratto. Ma il RAFFORZAMENTO DELLA POSIZIONE DOMINANTE avviene anche attraverso l’acquisizione di imprese concorrenti oppure mediante processi di aggregazione e di concentrazione. Le investigazioni aziendali debbono individuare queste circostanze per renderle evidenti e sottoponibili a un organo decisiorio a livello legale. Si tratta di operazioni in se non illecite se non approntate in modo da aggirare la normativa concorrenziale, circostanza che spesso avviene celando tali concentrazioni con la costituzione di holding, apposite newco, o gruppi commerciali e industriali mascherati.

 

 

 

 

ALTRI CASI DI CONCORRENZA SLEALE


Il legislatore, dopo aver affermato l’illiceità degli atti di concorrenza confusoria, denigrazione e appropriazione di pregi dei prodotti o dell’attività del concorrente, stabilisce che in ogni caso compie un atto di concorrenza sleale chi “si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda” (art. 2598, n. 3, c.c.).

In particolare sono da considerarsi comportamenti contrari ai principi di correttezza professionale generalmente accettati nel mondo degli affari e idonei a danneggiare l’altrui azienda:

-        la concorrenza parassitaria (che abbiamo già trattato)

-        il boicottaggio

-         le vendite sottocosto

-         lo storno di dipendenti

-         la sottrazione di segreti aziendali

-         la violazione di norme di diritto tributario, penale e amministrativo

-         la pubblicità ingannevole

BOICOTTAGGIO

Vi sono varie forme di boicottaggio, solitamente attuate da imprese che beneficiando di posizioni dominanti sul mercato, possono cercare di condizionarlo allo scopo di recare danno ad un’impresa concorrente.  Si parla ad esempio di boicottaggio primario allorché un’azienda affermata, magari in regime di monopolio nella produzione di un determinato bene o servizio, decida deliberatamente di non rifornire più un rivenditore per ottenere la sua estromissione dal mercato. Invero si può parlare di boicottaggio secondario qualora un’impresa ostacoli l’ingresso sul mercato di un concorrente convincendo ad esempio i fornitori potenzialmente o concretamente comuni a non avere rapporti con esso, magari offrendosi per perseguire tale finalità a corrispondere ad essi un prezzo maggiore.

Nella nostra esperienza investigativa abbiamo sovente incontrato queste tipologie di boicottaggio, di azioni commercialmente scorrette e prepotenti, sintomatiche del timore di perdere posizioni di privilegio, di quote consolidate di mercato, nel timore che l’azienda concorrente possa sottrarre affari . Tuttavia, non di rado, le azioni di boicottaggio sono innescate da rancori personali  o da futili motivi che però possono incidere in maniera preponderante sullo sviluppo dell’iniziativa imprenditoriale danneggiata. Ciò determina la necessità di indagini aziendali svolte con particolare attenzione e mirate a reperire elementi probatori, testimoniali e documentali incontrovertibili e validi legalmente al fine di sostenere le istanze dell’azienda danneggiata.

VENDITA SOTTOCOSTO

Il ribasso dei prezzi è sostanzialmente una pratica lecita soprattutto se legata a contesti promozionali ovvero limitati nel tempo. Più discutibile è la pratica della “vendita sottocosto” anch’essa lecita laddove legata a contesti temporali limitati e legati alle esigenze contestuali dell’impressa (si pensi alla liquidazione di un negozio per rinnovo dei campionari piuttosto che dei locali). Chiaramente se tale pratica persiste nel tempo può ritenersi invece contraria ai principi della correttezza professionale soprattutto laddove il bene o servizio sia commercializzato sistematicamente a prezzi inferiori agli stessi costi di produzione sostenuti dall’impresa o dai costi sostenuti mediamente da tutte le imprese concorrenti. Nel retail, il commercio al minuto, è diffusa ad esempio la pratica del “gâchage” ovvero vengono praticati su prodotti-civetta, di forte richiamo sulla potenziale clientela, prezzi sottocosto, al fine di farli fungere da polo attrattivo, per poi contemperare la cosa attraverso ricarichi più alti su altri prodotti. Ad esempio un negozio di  dolci può ipoteticamente promuovere la vendita di Baci Perugina a 0,20 € per poi ricaricare altri articoli in modo anche eccessivo. Se l’operazione venisse eseguita sotto le festività natalizie potrebbe avere certamente successo.

Questo tipo di operazioni commerciali scorrette e sleali sono oggetto di un’azione investigativa mirata e scrupolosa volta a raccogliere tutti gli elementi probatori necessari al fine di comporre un quadro che possa supportare in modo efficace le istanze del cliente in ambito legale.

STORNO DEI DIPENDENTI

Come sappiamo assicurarsi un grande calciatore, un fuoriclasse, può comportare indubbi benefici per una squadra di calcio. Allo stesso modo diviene fisiologico per un’impresa divenire attrattiva ed assicurarsi i migliori collaboratori e dipendenti disponibili sul mercato.  E’ chiaramente lecito per un imprenditore allettare il dipendente di un’impresa concorrente attraverso l’offerta di migliori condizioni di lavoro, di benefits piuttosto che una più elevata retribuzione.  Ma se tale offerta è motivata dall’intenzione di disgregare l’azienda concorrente e recare un danno si configura l’ipotesi dello storno dei dipendenti.

Certamente il problema si pone nelle investigazioni aziendali su come produrre elementi di prova che possano dimostrare l’intenzionalità sleale dell’impresa e gli elementi più ricorrenti, certamente non semplici da individuare sono i seguenti:

-        La presenza di una talpa all’interno dell’impresa danneggiata che fornisca notizie al concorrente sleale; per esempio laddove avvisi il soggetto che c’è un dipendente/collega appetibile in fase di contrasto con il datore di lavoro ovvero  vi sia del malcontento rendendo il momento propizio per un’offerta. Tale fatto è ovviamente più rilevante laddove la talpa sia retribuita dal concorrente

-        Un altro elemento certamente rilevante è che vi sia un elevato numero di dipendenti dell’impresa danneggiata che passino alle dipendenze del concorrente sleale; tale fatto può essere mascherato ad arte non rendendo fluido provare il nesso di casualità. Ad esempio l’imprenditore sleale può distanziare il decorso dei diversi contratti dei dipendenti “rubati”  oppure può mantenerli temporaneamente “in nero” o ancora dislocarli in mansioni da remoto o con contratti di collaborazione esterna che preludono ad un’assunzione già concordata

-        Rilevante è che i dipendenti o i collaboratori aziendali siano “assi portanti” , un direttore commerciale, un progettista, un direttore del personale, ad esempio, quindi risorse di certo non facilmente sostituibili

-        Il fatto che lo storno sia legato al tentativo dell’azienda concorrente di sottrarre segreti aziendali

 

 

 

 

 

 

SOTTRAZIONE DI SEGRETI INDUSTRIALI E AZIENDALI

Ovviamente si tratta di un problema investigativo che noi stessi leghiamo abitualmente all’infedeltà di dipendenti, dirigenti e soci.  Chiaro che si configura l’ipotesi di concorrenza sleale laddove nel fatto sia coinvolta un’impresa concorrente. Infatti il dipendente che intende appropriarsi di segreti aziendali al fine di porre in essere un’iniziativa imprenditoriale propria, è probabilmente un dipendente infedele ma non è un concorrente, in quanto, come detto inizialmente, occorre per porre in essere la concorrenza sleale che tra le due parti sia in comune il requisito della imprenditorialità. Più nitido è il caso in cui il dipendente infedele sia in combutta con un’azienda concorrente e quindi si prefigura più chiaramente l’ipotesi di concorrenza sleale finalizzata alla sottrazione di segreti aziendali o industriali. Ma quando si può parlare compiutamente di segreti aziendali ? Utili indicazioni possono oggi ricavarsi dal codice della proprietà industriale (artt. 98 e 99), che riconosce al ”legittimo detentore” il diritto di vietare ai terzi di acquisire, rivelare a terzi o utilizzare informazioni ed esperienze aziendali segrete, ossia non «generalmente note o facilmente accessibili agli esperti od operatori del settore» e che, in quanto tali, abbiano un valore economico e siano sottoposte a misure idonee a tenerle segrete. Infedeltà interna e concorrenza sleale come si può comprendere si intrecciano stesso negli incarichi investigativi da noi gestiti. Non necessariamente vi deve essere il coinvolgimento diretto di un concorrente. E’ il caso del “dipendente infedele imprenditore”, ovvero uno o più dipendenti che vengano licenziati o si dimettano da un posto di lavoro presso un’azienda e che aprano attività concorrenziali. Vi deve essere intanto la certezza che non era vigente un patto di non concorrenza. Poi ovviamente ci sono diverse casistiche. Laddove due ex dipendenti di un’azienda di macchinari industriali ne fondino una nuova con macchinari similari a quelli dell’ex datore di lavoro,  lo possono fare se i dati tecnici e le informazioni per poterli costruire non siano stati adeguatamente protetti dall’ex azienda. Un caso investigativo ancor più comune è quello di funzionari commerciali, responsabili vendite, agenti commerciali interni. Si tratta di figure che cn diversa gradazione possono essere assai rilevanti nell’a

 

CONCORRENZA SLEALE ATTRAVERSO ILLECITI PENALI, TRIBUTARI  E AMMINISTRATIVI

E’ lapalissiano che laddove un’impresa di commercio al dettaglio violi norme amministrative, attraverso esemplificativamente la mancanza di battitura dello scontrino fiscale, ciò comporta un atto di concorrenza sleale oltre che un illecito tributario, soprattutto laddove con il conseguente risparmio dei costi dovuti al mancato rilascio dello scontrino fiscale può finanziare un’azione sistematica di ribasso dei prezzi, a danno dei concorrenti, Parimenti anche alcune violazioni di tipo amministrativo che sono sanzionate con norme specifiche possono assumere la rilevanza di atti di slealtà commerciale; due bar, concorrenti sullo stesso territorio, sono in competizione diretta, perché magari il loro comune target sono i giovani dediti allo struscio e alla movida. Se uno dei die rispetta l’obbligo di non vendere bevande alcoliche ai minorenni e l’altro no, ne consegue un indebito vantaggio,   che può configurare l’ipotesi di concorrenza sleale.  Sono molteplici le casistiche investigative di questa tipologia che ci sono occorse in quasi trenta anni di esperienza nel campo delle investigazioni aziendali per concorrenza sleale.

 

 

 

 

PUBBLICITA’ INGANNEVOLE

Come sappiamo in Italia anche l’AGCM ha diretta competenza sulla pubblicità ingannevole; per istruire una pratica e fare un’istanza all’Authority Antitrust, occorre procurarsi elementi probatori a sostegno o almeno è quantomeno consigliabile. Le investigazioni contro un concorrente sleale che adotta mezzi pubblicitari ingannevoli sono finalizzare a tutelare l’azienda committente che viene danneggiata, a differenza di altre fattispecie di concorrenza, non in modo diretto ma indotto dalla pratica sleale del competitor.

La pubblicità ingannevole è fonte di illecito concorrenziale quando è capace di indurre in errore i suoi destinatari e perciò di falsare il loro comportamento economico spingendoli a prendere decisioni che non avrebbero altrimenti adottato e, di conseguenza, idoneo a provocare uno sviamento di clientela lesivo dei concorrenti.

L’azione dell’agenzia investigativa deve essere finalizzata a definire i contorni dell’INGANNO., il quale può essere relativo a diversi ambiti, quali:

-        caratteristiche dei beni o dei servizi reclamizzati, quali: l la loro disponibilità, la natura, la composizione o l’idoneità allo scopo (es. È stata ritenuta ingannevole la pubblicità di abbonamenti a pubblicazioni periodiche che venivano presentate come richieste di versamenti obbligatori a seguito di iscrizione dei destinatari alla Camera di Commercio)

-        origine geografica o commerciale (es.il messaggio pubblicitario di un’impresa che apponeva un cartiglio con scritto “prodotti originali sardi” sul collo della bottiglia di un rosolio di propria produzione, è stato ritenuto ingannevole in quanto la produzione veniva realizzata con componenti provenienti dalla Toscana)

-        i risultati che si possono ottenere con l’uso del prodotto o del servizio o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove o controlli effettuati sui beni o sui servizi.(es. classico l’esempio dei prodotti contro la caduta dei capelli che promettono enfaticamente strepitosi risultati non dimostrati)

-        prezzo e condizioni di vendita (ad esempio vengono ritenuti ingannevoli le vendite rateali con indichino il numero delle rate oppure il TAEG)

-        caratteristiche dell’inserzionista (un’azienda che millanta di annoverare importanti clienti nel proprio portafoglio citati come referenze quando non ne ha).

Sono pratiche pubblicitarie ingannevoli che chiaramente possono indurre in inganno il cliente e il consumatore e comportare un danno al concorrente; ad esempio, laddove un’importante fabbrica di automobili interpelli per un incarico investigativo due istituti di investigazione e si lasci convincere dalle altisonanti referenze presenti sul sito web di uno dei due istituti, se tali referenze non sono reali, vi è un danno procurato all’impresa concorrente.

VIOLAZIONE DI PATTI DI NON CONCORRENZA

Al di là del patto di non concorrenza che talora un datore di lavoro appone a tutela del proprio know how ai contratti dei propri dipendenti e collaboratori, esistono patti espressi di non concorrenza tra imprese o comunque tra soggetti con il requisito dell’imprenditorialità. Si pensi al Sig. Bianchi che ha un’attività di articoli sanitari e che la cede per un notevole corrispettivo ; l’acquirente vorrà tutelarsi inserendo nella transazione un vincolo di non concorrenza, per un periodo stabilito, per il soggetto venditore, il Sig. Bianchi. Di solito si stabilisce nelle condizioni anche il Foro competente oppure si fa ricorso allo strumento dell’Arbitrato per dirimere eventuali controversie.

Per ovviare all’osservanza di tali obblighi,  talora accade che coloro che cedono le attività o i rami di impresa, utilizzino il ricavato per finanziare nuove iniziative imprenditoriali concorrenti, magari usando dei prestanomi o altri stratagemmi. In questo caso la concorrenza sleale si concretizza violando non disposizioni di legge generali che regolano e disciplinano il mercato e la competizione tra imprese, ma infrangendo direttamente accordi e patti espressi, normalmente registrati ed ufficializzati.

 

Come si è potuto vedere sono veramente molte le articolazioni possibili delle investigazioni e delle indagini contro la concorrenza sleale.  Vi sono casi semplici, altri che richiedono un accurato studio e un piano di investigazioni ben articolato e mirato ad ottenere le prove giuste per i target investigativi definiti dalla committente e/o dal proprio staff legale.